La manifattura è una “leva essenziale della sicurezza nazionale”: Bonomi chiede “estensione permanente” del Piano Industria 4.0

Il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi ritiene che il Governo di non stia facendo abbastanza per sostenere le imprese in questa difficile congiuntura. Un’impresa su due – dice – potrebbe essere costretta a uno stop alla produzione in meno di tre mesi. Una situazione di emergenza che richiede un maggiore sforzo sul piano nazionale, con interventi strutturali a partire dall’estensione del Piano Industria 4.0 “come uno strumento permanente delle scelte nazionali”.

Pubblicato il 12 Apr 2022

bonomi

Le difficoltà legate al conflitto in Ucraina impongono interventi strutturali, di più ampia portata e visione, per sostenere le imprese e non far saltare la “locomotiva Paese”: è questo il messaggio che lancia il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, intervenuto nell’ambito delle audizioni sull’esame del Documento di economia e finanza (Def) delle Commissione Bilancio di Camera e Senato.

Il Presidente sottolinea come il quadro macroeconomico fornito nel Def – che delinea una crescita tendenziale del PIL al 2,9% nel 2022 basato su una contrazione dello 0,5% nel primo trimestre, una ripresa nel secondo e nel corso dei mesi estivi un ritorno a una crescita a ritmi sostenuti–, appare ottimistico e sembra non cogliere le straordinarie difficoltà dell’attuale situazione.

Difficoltà che rischiano di minare la ripresa che si è registrata nel 2021, gli effetti positivi del Pnrr e la stabilità dell’intero sistema industriale. Dall’indagine svolta dal Centro Studi Confindustria (CSC), infatti, emerge un quadro molto più serio di quello descritto nel Def, con quasi un’impresa su due che rischia di dover ridurre la produzione tra due mesi e mezzo.

Quest’anno l’Italia sarà in recessione

L’analisi svolta dal CSC evidenzia uno scenario difficile, dove l’ombra della recessione oscura quello che era stato un anno di ripresa (il 2021), che però a causa delle perturbazioni alle catene di fornitura causate dalla pandemia – il rialzo dei prezzi delle commodity e i problemi di fornitura – aveva già messo a dura prova la capacità di resilienza delle imprese.

Un’analisi che, precisa il Presidente, parte da uno scenario non pessimista, poiché si basa sui presupposti che il conflitto si risolva in breve tempo (entro giugno), sull’assenza di un razionamento dell’energia elettrica per il settore produttivo, il crollo dei contagi e l’attuazione del PNRR.

Anche tenendo conto di questi fattori, il CSC stima stima per quest’anno un incremento del PIL del +1,9%. Tuttavia, Bonomi ha sottolineato che la variazione positiva è interamente dovuta a quella già “acquisita” a fine 2021 (+2,3%) grazie all’ottimo rimbalzo dell’anno scorso. “Infatti, una qualsivoglia variazione del PIL inferiore al 2,3% annuo significa che quest’anno saremo in recessione“, precisa il Presidente.

Sulla base dello scenario analizzato, il CSC  stima che nei primi due trimestri l’economia italiana entri in una “recessione tecnica” (-0,2% e -0,5% rispettivamente) e questa non sarà compensata dalla lieve ripresa attesa nella seconda metà dell’anno. E, a marzo, ci sarà un’ulteriore caduta della produzione industriale, pari al -1,5%.

Manifattura “leva essenziale della sicurezza nazionale”

Dopo aver lanciato un appello per l’unità, per la responsabilità e per un patto a tre con Governo e sindacati, Bonomi ricorda che la manifattura deve essere considerata una leva per la sicurezza nazionale.

Questo vuol dire, quindi, adottare misure strutturali per l’industria – anche sulla scia di quanto già fatto in altri Paesi europei –  a partire dall’estensione del Piano Industria 4.0 “come uno strumento permanente delle scelte nazionali”.

Uno strumento a cui si devono accompagnare misure contributive, fiscali, politiche attive del lavoro, di sostegno a ricerca e sviluppo, che si pongano tutte insieme come obiettivo permanente:

  • innalzare del valore aggiunto delle nostre produzioni
  • ottenere eccellenza e autonomia in tecnologie e produzioni che abbiamo abbandonato a vantaggio di altri, o su cui siamo indietro
  • rafforzare costantemente la patrimonializzazione e propensione all’autoinvestimento,
  • aprire alle imprese medie e piccole del fintech e non dei soli intermediari finanziari tradizionali
  • accompagnare ristrutturazioni, fusioni e acquisizioni che portino con gradualità ma sistematicità ad accrescere taglia dimensionale e finanziaria delle industrie

Quella proposta da Confindustria è quindi una strategia di difesa e di promozione dell’industria che guarda al futuro, ma che deve costruirsi sulla base di quello che sta accadendo adesso, a livello nazionale e internazionale.

“Difendere la strategicità della nostra industria significa anche avere un’idea chiara di ciò che va promosso e di ciò che va invece evitato, nel conflitto oggi in corso in Ucraina”, commenta Bonomi, che sottolinea l’urgenza di iniziare a pensare “a un grande fondo garantito insieme da UE e USA per ricostruire l’Ucraina, e all’avvio di un pacchetto di misure di reciproco interesse economico per la nuova Russia post-invasione, come per la Cina altrimenti interessata a ricentrare su se stessa produzioni e forniture”.

“O l’Europa è capace di statisti in grado di parlare questa lingua, oppure la geopolitica militare delle tre potenze avrà su di noi effetti recessivi, ed è un errore che non ci possiamo permettere”, conclude.

Un’impresa su due rischia di ridurre la produzione in meno di tre mesi

Il rincaro del prezzo dell’energia e del petrolio sta infatti mettendo a dura prova le imprese, che finora hanno assorbito in gran parte (o in totale) il rialzo dei costi, con la riduzione o l’azzeramento dei margini di profitto.

Dall’indagine svolta su un campione di imprese associate a Confindustria emerge che oltre il 16% delle imprese ha già ridotto la produzione. E oltre 1/3 indica di poter continuare soltanto per tre mesi senza sostanziali sospensioni.

Ciò vuol dire che, tra due mesi e mezzo, quasi un’impresa su due avrà ridotto la produzione. E la mancanza di un serio intervento a livello nazionale e di un piano di azione coordinato a livello europeo non fa che aumentare il rischio per le imprese.

Infatti, il rincaro del prezzo dell’energia sta colpendo le imprese europee in maniera diversa, sia perché i prezzi dell’energia sono sostanzialmente diversi, sia perché i governi hanno adottato strumenti diversi a tutela dei propri settori industriali.

“È evidente che differenze così ampie nel prezzo di alcuni input tra macro aree globali ma anche tra Paesi europei incidono molto negativamente sulla competitività dell’industria italiana. Soprattutto per le imprese che operano nei settori energy intensive”, commenta Bonomi.

Bonomi: “Serve un prezzo europeo del gas”

Il Presidente lancia dunque un appello a un’unità europea, che non deve limitarsi solamente a un’accordo sulle sanzioni da imporre alla Russia, ma deve anche uniformarsi nella strategia da adottare per rispondere anche a questa crisi.

A livello nazionale, il Presidente Bonomi sottolinea la necessità di estendere il quadro temporale di riferimento (almeno ad un anno) delle misure adottate finora. Questo permetterebbe alle imprese di programmare, e in molti casi di portare avanti, le attività produttive.

Misure che devono essere integrate con le risposte a livello europeo volte, da un lato, ad arrivare a un prezzo comune del gas, che tuteli industria e occupati da manovre speculative e da condizioni economiche abnormi rispetto agli approvvigionamenti.

Dall’altro, si deve intervenire anche sul meccanismo ETS –il sistema per lo scambio delle quote di emissione nell’UE –, per arginare manovre speculative sui mercati energetici e delle quote di emissione di CO2. Ma la proposta di Confindustria, in questo ambito, va ben oltre: quello che propone Bonomi, infatti, è la sospensione del meccanismo, per attuare le misure necessarie a ridurre le speculazioni, in forte aumento dopo che sono stati fissati i nuovi obiettivi per il taglio delle emissioni.

Insufficienti le misure adottate dal Governo Draghi

Ma anche la risposta del Governo italiano deve andare ben oltre quanto è stato fatto finora e che se paragonato a strumenti adottati da altri Paesi risulta poco lungimirante e insufficiente. “La Germania sta stanziando 100 miliardi di euro per sostenere le imprese attraverso linee di credito emergenziali, interventi sull’equity e sovvenzioni per compensare gli aumenti dei costi. Noi con il Def stanziamo 5 miliardi”, ricorda Bonomi.

In primo luogo, va evitato il pericolo di alimentare ulteriormente la spirale inflattiva con una non corretta politica dei redditi. Un’ulteriore crescita dell’inflazione, infatti, rischierebbe di compromettere ancora maggiormente la produzione industriale, sia a causa del rialzo dei prezzi alla produzione, sia poiché sfiancherebbe significativamente la domanda.

Da scongiurare, inoltre, un qualsiasi rincaro sul costo del lavoro. Al contrario, Bonomi sottolinea proprio come, vista la situazione attuale e le stime per i prossimi mesi, è ancora più opportuno, proprio in questo quadro, un intervento proprio su questo punto. “Non basta alleggerire il prelievo fiscale, come è stato fatto con l’ultima legge di bilancio, ma bisogna anche intervenire sul costo del lavoro”, sottolinea.

Un’altra conseguenza della situazione in cui si trovano ad operare le imprese è il calo della fiducia rispetto alle decisioni di investimento. Investimenti che più volte si è ribadito essere indispensabili per la ripresa post- pandemia e per vincere la sfida della transizione ecologica.

È quindi necessario tornare a rafforzare le misure di supporto alla liquidità e agli investimenti. In particolare, sottolinea Bonomi, occorre un nuovo potenziamento delle garanzie pubbliche almeno per tutto il 2022, a partire dal Fondo di garanzia per le PMI.

Interventi che sono possibili grazie al nuovo Quadro Temporaneo di aiuti per le imprese colpite dalla crisi, che tuttavia deve essere adeguato rispetto alle esigenze della congiuntura del momento. e per farlo, il Governo italiano dovrebbe lavorare su un’azione di sensibilizzazione nei confronti della Commissione Europea, volta a consentire un significativo allungamento della durata delle garanzie concedibili, almeno fino a 15-20 anni.

Indispensabile tutelare il PNRR

Il rialzo dei prezzi, avverte Bonomi, potrebbe mettere a rischio anche gli effetti positivi del PNRR, in quanto alcuni degli interventi previsti potrebbero essere di difficile realizzazione ai prezzi attuali.

“È, quindi, necessario individuare un meccanismo stabile di compensazione dell’aumento dei prezzi dei contratti in corso anche per le imprese del comparto dei servizi e delle forniture”, sottolinea. Al tempo stesso, deve essere portato avanti un discorso a livello europeo per rivedere le scadenze e gli obiettivi.

Una revisione che non vuol dire rallentare il PNRR e le riforme previste, cruciali per l’ammodernamento e la competitività del sistema Paese. Al contrario, Bonomi insiste sulla necessità di costruire uno sistema di monitoraggio per verificare che le azioni e le riforme già avviate siano portate avanti nel rispetto dei tempi e degli obiettivi.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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