Ocse, in Italia c’è un serio problema di competenze

L’Italia sconta ancora un grave deficit di competenze, una carenza particolarmente pesante per un Paese che voglia affrontare la rivoluzione digitale. L’Ocse analizza il “paziente” Italia e propone una diagnosi e dieci punti sulle quali il Belpaese dovrebbe concentrarsi

Pubblicato il 05 Ott 2017

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Il gap di competenze che l’Italia sta scontando è tra i responsabili dei bassi livelli di crescita del nostro Paese. L’Italia sta lavorando per attuare riforme che migliorino mercato del lavoro e istruzione, dal Jobs act, alla Buona scuola, da Garanzia Giovani a Industria 4.0, dal piano per il digitale all’Alternanza scuola lavoro. Rispetto alle rilevazioni precedenti, ci sono alcune aree in cui l’Italia è migliorata. Ma non basta e bisogna fare di più, molto di più.

Di questo tema si occupa il report Skills Strategy – Diagnostic Report realizzato dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in collaborazione con il Governo Italiano, volto a porre sul tavolo la questione delle competenze. Nelle sue 280 pagine il report propone dieci punti sui quali l’Organizzazione consiglia di concentrarsi, offrendo anche diversi spunti di riflessione.

Pochi laureati e poco preparati

I lavoratori italiani hanno in media bassi livelli di abilità cognitive e sono poco propensi a utilizzarle. Tredici milioni di adulti hanno competenze di basso livello. Si tratta di carenze che si riscontrano anche tra i laureati, che sono pochi e poco preparati. La quota degli italiani nella fascia 25-34 anni con un’ istruzione universitaria è inferiore del 10% alla media dei paesi Ocse: appena il 20% della popolazione. Tra il 2000 e il 2015 il numero di studenti iscritti all’università è diminuito dell’8%, per poi aumentare del 4,9% nel 2016. Complessivamente – dice il report – “i laureati adulti in Italia hanno tra i più bassi punteggi medi di alfabetizzazione e calcolo rispetto ai laureati universitari in altri paesi” (26° su 29 Paesi OCSE, in entrambe le dimensioni).

Le riforme intraprese per migliorare la qualità della scolarizzazione richiederanno tempo per dispiegare i propri effetti nella direzione di una maggiore qualificazione della forza lavoro. Eppure – dice l’Ocse – c’è una grande eterogeneità: in diverse aree i lavoratori italiani più qualificati sono alla pari dei lavoratori degli altri paesi del G7. Inoltre, i lavoratori italiani mostrano una “prontezza di apprendimento” relativamente elevata e buone “capacità di risolvere i problemi”, il che suggerisce che politiche più coordinate e mirate in materia di istruzione e formazione della forza lavoro potrebbero aiutare l’Italia a sviluppare e a fare un uso più intensivo di livelli più elevati di competenze sul posto di lavoro.

Le responsabilità delle imprese

L’Italia è attualmente “intrappolata in un equilibrio al ribasso“, una situazione in cui la scarsa offerta di competenze è accompagnata da una scarsa domanda da parte delle imprese.

Ai bassi livelli di competenze dei manager e dei lavoratori si sommano gli scarsi investimenti in metodi e tecnologie che richiedono skill più elevate da parte dei lavoratori. Ciò a sua volta riduce gli incentivi a (e la capacità di) investire in modo efficace nelle competenze e nei metodi e tecnologie che migliorano la produttività. Un cane che si morde la coda.

Questa dinamica si spiega in parte, dice l’OCSE, con il fatto che in Italia le imprese a conduzione familiare rappresentano oltre l’85% di tutte le imprese e generano circa il 70% dell’occupazione. Ma i dirigenti di queste aziende “spesso non hanno le competenze necessarie per adottare e gestire nuove e complesse tecnologie”. Inoltre, in Italia, le retribuzioni sono spesso più legate all’anzianità che alle prestazioni individuali del lavoratore, riducendo così gli incentivi per i lavoratori a utilizzare le loro competenze in modo più completo.

Lo skills mismatch

Il 6% dei lavoratori è “under-skilled” e il 21% “under-qualified”, ma c’è anche il problema opposto: il 12% dei lavoratori è “over-skilled”, cioè ha competenze superiori a quelle richieste dalla propria mansione, mentre il 18% è “over-qualified”. Inoltre circa il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi. “Per riequilibrare meglio l’offerta e la domanda di competenze è necessario che chi si occupa di istruzione e di formazione sia più reattivo, che le politiche del mercato del lavoro siano più efficaci, che la valutazione delle competenze sia migliore e che il settore privato si adoperi maggiormente per collaborare con le istituzioni”.

Industria 4.0

Industria 4.0 può contribuire a migliorare “il sistema delle competenze” agendo, in particolare, sulla domanda di competenze in Italia. Il piano prevede infatti l’istituzione di una rete di poli tecnologici, tra cui i Digital Innovation Hub, i Punti d’Impresa digitale e i famigerati Competence Center. Si tratta di realtà che potranno aggregare diversi soggetti – grandi operatori privati, università, centri di ricerca, PMI e start-up – per promuovere una maggiore diffusione delle tecnologie in tutto il paese e nei principali settori industriali.

I quattro pilastri e le dieci sfide

Il framework strategico proposto dall’Ocse poggia su quattro pilastri: sviluppare le competenze rilevanti, attivare l’offerta di competenze, utilizzare le competenze in modo efficace e rafforzare il sistema delle competenze. Sotto questi pilastri crescono 10 sfide che l’Italia deve affrontare:

  • Dotare i giovani di tutto il paese di competenze adeguate
  • Aumentare l’accesso all’istruzione terziaria migliorando nel contempo la qualità e la pertinenza delle competenze
  • Aumentare le competenze degli adulti che ne hanno poche
  • Eliminare gli ostacoli sul fronte dell’offerta e della domanda all’attivazione delle competenze nel mercato del lavoro
  • Incoraggiare la partecipazione di donne e giovani al mercato del lavoro
  • Utilizzare meglio le competenze nel lavoro
  • Sfruttare le competenze per promuovere l’innovazione
  • Rafforzare la governance multilivello e le partnership per migliorare le competenze
  • Promuovere valutazione e anticipazione delle competenze per ridurre lo skills mismatch
  • Investire per migliorare le competenze

Per ciascuno di questi dieci punti il documento offre preziose indicazioni emerse dal lavoro di gruppo che ha portato alla stesura del report. Queste dieci sfide sono tutte da affrontare, ma quello che va fatto subito è scegliere le priorità e iniziare ad agire subito.

Il commento del Ministro

Il Ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ha così commentato: “Le competenze devono essere al centro di una strategia di lungo termine, l’investimento pubblico sulla filiera del sapere è prioritario. Lo è sempre, ma ancor di più in una società della conoscenza come quella in cui viviamo, in cui educazione, università e ricerca sono fondamentali come sistema capace di generare conoscenza, non solo per rimanere al passo con i tempi, ma anche per poterli interpretare e governare. Il tema delle competenze è strategico per il futuro per Paese”.

Fedeli ha poi aggiunto: “Il volume presentato oggi riconosce l’impegno dell’Italia dal punto di vista delle riforme, compresa quella della scuola prevista dalla legge 107 del 2015, evidenziando in particolare il valore e la qualità del Piano Nazionale Scuola Digitale e dell’Alternanza Scuola-Lavoro. Una sottolineatura positiva che ci spinge ad andare avanti sulla strada tracciata. L’Ocse rilancia infatti anche l’importanza della rapida implementazione delle riforme a cui, come Ministero, stiamo lavorando sul fronte dell’Istruzione. Dobbiamo continuare a implementare scelte e azioni che incidono sulla filiera del sapere. Migliorare la qualità del sistema di Istruzione, dell’insegnamento, ridurre il divario ancora esistente tra le diverse Regioni è il nostro impegno. Perché l’educazione non è un settore: è la condizione abilitante di un Paese. Una premessa indispensabile per tutte le altre politiche”.

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Redazione

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