Il 65% delle PMI alle prese con problemi di liquidità: più della metà chiede un prestito alle banche

L’esigenza di liquidità si conferma la preoccupazione principale delle PMI italiane durante la crisi connessa all’emergenza Covid-19. Un sondaggio condotto da Api mostra che il 65% delle piccole e medie imprese reputa negativa la propria situazione sul fronte delle risorse, mentre il 64,5% del campione si è già rivolto agli istituti di credito per richiedere un prestito.

Pubblicato il 09 Giu 2020

liquidità PMI

L’esigenza di liquidità si conferma la preoccupazione principale delle PMI italiane durante la crisi connessa all’emergenza Covid-19. È il quadro che emerge da un sondaggio condotto da Api (Associazione Piccole e Medie Industrie) dal titolo “Liquidità, le PMI lanciano un SOS (?)”, che evidenzia una netta differenza tra la situazione delle aziende, in termini di risorse, prima e dopo l’epidemia.

In particolare, il 74% degli imprenditori valutava positivamente la liquidità della propria azienda prima del Covid-19, ma oggi il 65% dello stesso campione reputa negativa la propria situazione sul fronte delle risorse. Tra i problemi di liquidità principali vi sono gli insoluti (39%), la necessità di pagare i dipendenti (31,7%) e i pagamenti dei fornitori (24,4%).

“Per una piccola e media impresa la mancanza di liquidità è paragonabile ad avere un’automobile con serbatoio vuoto: sarà un’auto che non parte o che si fermerà presto”, dichiara Paolo Galassi, Presidente di Api. “E l’Italia come potrà tagliare il traguardo o posizionarsi in pole position se la sua scuderia non solo è senza benzina ma anzi la corsa delle PMI sarà frenata da mille altri ostacoli, come la burocrazia? Il know how del Made in Italy verrà disperso? A settembre, quando inizierà un autunno caldo in tema di relazioni industriali, dove finiranno le competenze dei lavoratori delle industrie?”.

Più della metà del campione (il 64,5%) si è già rivolto agli istituti di credito per richiedere un prestito. I finanziamenti più richiesti sono quelli garantiti al 100% dallo Stato, che con la conversione in legge del dl Liquidità possono arrivare ad un importo di 30.000 euro e avere una durata massima di 10 anni (qui è possibile scaricare il modulo e saperne di più). A questi prestiti si è rivolto il 50% delle PMI intervistate. Minori invece le percentuali di chi ha chiesto un prestito fino a 100.000 euro (10%), da 100.000 a 200.000 euro (5%), da 200.000 a 300.000 euro (15%), da 500.000 a 750.000 euro (5%), da 750.000 a 1 milione (10%), superiore al milione (5%).

Per quanto riguarda la durata (che, come detto, ora può essere di massimo 10 anni), la maggior parte delle PMI ha chiesto un finanziamento di 6 anni (60%), seguita da quelli di 4 anni (20%), 3 (15%) o inferiore ai 2 (5%).

Ma il dato più preoccupante è forse quello che mette in contrasto imprese e istituti di credito: dal sondaggio di Api infatti emerge che il 64% delle PMI intervistate giudica negativamente le informazioni e il supporto fornito dall’istituto di credito, con il 74% che non ha riscontrato corrispondenza tra le informazioni in suo possesso sul decreto Liquidità e quelle ricevute dalla banca.

“Abbattere il costo dei contributi da lavoro dipendente”, “maggiore accesso a crediti e finanziamenti semplificando la burocrazia”, “contributi a fondo perduto invece di prestiti” che indebitano ulteriormente le aziende: sono le richieste del Presidente di Api Galassi.

“Un’emergenza va gestita con misure straordinarie e con facilità di accesso agli strumenti”, continua Galassi. “I fondi ci sono, l’Europa è finalmente scesa in campo, ora gli imprenditori si aspettano che i soldi arrivino e non restino intrappolati a causa di cavilli e burocrazia. La tempestività è oggi un fattore imprescindibile per salvare le imprese. Tra le associate ci sono, infatti, aziende che registrano una perdita del fatturato del 70% e anche l’ultimo dei tanti decreti non ha fatto abbastanza. Alle piccole e medie imprese non servono briciole o assistenzialismo per tamponare l’emergenza ma una politica industriale che dia visione di lungo periodo, oltre a risposte chiare e immediate. Basta appunto vedere i ritardi nell’erogare la cassa integrazione, oltre alla mancanza di chiarezza e di norme univoche. Questa crisi ha fatto venire al pettine i nodi di un’economia già in crisi”.

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Francesco Bruno

Giornalista professionista, laureato in Lettere all'Università Cattolica di Milano, dove ha completato gli studi con un master in giornalismo. Appassionato di sport e tecnologia, compie i primi passi presso AdnKronos e Mediaset. Oggi collabora con Dazn e Innovation Post.

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