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L’impatto dell’AI sui lavoratori italiani: 10 milioni quelli altamente esposti, ma ripercussioni su tutte le professioni



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Un’indagine di Randstad Research ha analizzato l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro italiano. Circa 10 milioni di lavoratori sono altamente esposti agli effetti dell’AI, che influenzerà però in misura diversa tutte le occupazioni, da quelle poco qualificate a quelle altamente specializzate. L’effetto sostituzione? Sarà ridimensionato dal calo demografico…

Pubblicato il 29 apr 2025



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Tutte le occupazioni in Italia, siano esse poco o molto qualificate, sono impattate dall’intelligenza artificiale. Ma i lavoratori altamente esposti sono circa 10 milioni.

Per questi profili, l’AI sostituirà singoli task svolti o si integrerà in modo complementare, comportando una successiva evoluzione delle competenze. Le professioni più esposte sono gli impiegati di medio livello nelle vendite e nell’amministrazione, ma nessuna può dirsi completamente esclusa dalla trasformazione in atto.

È quanto emerge dall’indagine di Randstad Research per Fondazione Randstad AI & Humanities (la Fondazione che esplora l’intersezione tra intelligenza artificiale e scienze umane) che ha quantificato l’impatto dell’AI sui lavoratori italiani, applicando alla forza lavoro tre diversi indici scientifici che identificano tre differenti effetti dell’introduzione delle tecnologie digitali nelle attività lavorative:

  • l’indice di esposizione all’automazione elaborato da Osborne e Frey, che misura gli effetti dell’automazione nella sostituzione degli aspetti non cognitivi e ripetitivi delle mansioni
  • l’indice di esposizione all’AI di Felten, Raj e Seamans, che misura l’esposizione di una professione all’intelligenza artificiale su mansioni non ripetitive e cognitive
  • l’indice di esposizione al Machine Learning di Brynjolfsson e Mitchell, che misura quanto questa tecnologia completi i compiti in maniera uguale o più efficiente a quella umana.

L’impatto dell’AI sui lavoratori italiani: l’identikit dei profili più esposti

Dall’analisi emerge che, secondo il primo indice, impiegati, operai e conducenti di vetture sono i profili più esposti agli effetti dell’automazione in Italia, tra sostituzione o complementarità nelle attività.

Sempre impiegati, ma anche alti dirigenti e professioni intellettuali, scientifiche e ad alta specializzazione sono i più impattati dall’AI. E ancora gli impiegati sono i più esposti secondo l’indice del machine learning.

Ma, applicando i tre indicatori all’intera forza lavoro e segmentando per variabili socio-economiche, si può ricostruire un identikit dettagliato dei lavoratori con il maggiore impatto.

È un giovane impiegato, maschio, di età compresa tra i 15 e i 24 anni, con basso titolo di studio (scuola dell’obbligo), che opera in settori ad alta manualità come costruzioni, turismo e logistica il profilo del lavoratore italiano più esposto all’automazione, che secondo le stime avrà un alto impatto su 10,5 milioni di lavoratori.

Donna, laureata, che lavora nel Nord e Centro Italia come analista dei dati o specialista nella finanza, invece, è il profilo più esposto agli effetti dell’intelligenza artificiale, che contrariamente al pensiero comune, non impatta solo i lavori manuali, ma anche quelli altamente qualificati, esponendo in modo diretto 8,6 milioni di lavoratori.

Sempre donna, del Nord e Centro Italia, ma tra i 15 e i 24 anni, con diploma di scuola superiore, impiegata nel commercio o finanza, che lavora in smart working, è l’identikit del lavoratore più esposto agli effetti del machine learning, che secondo le stime avrà un alto impatto su 8,4 milioni di lavoratori.

“L’indagine rivela come l’impatto della rivoluzione tecnologica sarà trasversale sul mercato del lavoro italiano,” commenta Emilio Colombo, Coordinatore del Comitato scientifico di Randstad Research.

“Da un lato, le professioni poco qualificate sono particolarmente esposte agli effetti dell’automazione e della robotica; dall’altro, quelle altamente qualificate sono molto esposte a quelli dell’intelligenza artificiale, che impatta soprattutto le abilità cognitive”, aggiunge.

Le tecnologie, spiega Colombo, non sostituiranno tout court questi ruoli, ma potranno sostituire o integrare i singoli task. E se, da un lato, questo avrà conseguenze sul fabbisogno complessivo di lavoratori, dall’altro le preoccupazioni sull’impatto occupazionale dell’AI vanno ridimensionate alla luce della dinamica demografica, per cui nel 2030 la forza lavoro italiana diminuirà di circa 1,7 milioni.

“La digitalizzazione potrebbe aiutare a bilanciare il mismatch tra domanda e offerta, in un contesto di riduzione dell’offerta di lavoro”, aggiunge Colombo.

“L’intelligenza artificiale, più che sostituire l’intelligenza umana, ha il potenziale per ridefinirla: consentendo a molte persone di accedere e processare grandi moli di informazioni, infatti, può potenziare soft skill come analisi critica, capacità di decisione, di supervisione e di interazione delle persone”, spiega Fabio Costantini, AD di Randstad HR Solutions e Consigliere della Fondazione Randstad AI & Humanities.

Automazione, AI e Machine Learning: chi sono i lavoratori più esposti

Randstad Research ha applicato i risultati relativi al grado di esposizione delle singole professioni al caso italiano, utilizzando i dati Istat sulla Forza Lavoro (22,4 milioni di occupati, escludendo dall’analisi le Forze Armate), per analizzare il numero di lavoratori italiani che subiranno un impatto dalle nuove tecnologie.

Considerando l’esposizione all’automazione, i lavoratori scarsamente esposti sono 7,8 milioni, quelli mediamente esposti 4 milioni, quelli fortemente esposti 10,5 milioni, tra cui ci sono soprattutto professionisti mediamente qualificati (il 43,5%).

Secondo l’indice di esposizione all’AI troviamo una situazione pressoché opposta. I lavoratori scarsamente esposti all’AI sono circa 9,2 milioni, quelli mediamente esposti 4,6 milioni e altamente esposti 8,6 milioni, di cui il 67,1% professionisti high skill.

Secondo l’indice di esposizione al Machine Learning, 9,3 milioni di occupati sono poco impattati, 4,8 milioni mediamente, 8,4 milioni altamente impattati, tra cui il 46,1% medium skill e il 40,6% è high skill.

L’impatto dell’AI sulle competenze dei lavoratori italiani

Più che la cancellazione di alcuni lavori e la creazione di nuovi, secondo Randstad Research, l’effetto più rilevante dell’AI sul lavoro sarà il cambiamento delle competenze necessarie nelle professioni: la maggior parte dei lavori e delle professioni sopravviveranno, ma cambieranno le competenze richieste per svolgerli.

I lavoratori dovranno imparare a lavorare con l’AI anziché essere sostituiti. È necessaria alfabetizzazione digitale e competenze tecniche avanzate, tra cui programmazione, analisi dei dati e gestione dei sistemi di AI.

L’automazione di compiti di routine da parte dell’intelligenza artificiale rende più importanti capacità umane difficilmente replicabili, quali la creatività, il pensiero critico e l’intelligenza emotiva.

In risposta a questi cambiamenti, i programmi educativi e di formazione devono evolversi, privilegiando non solo le discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), ma anche lo sviluppo delle competenze trasversali indispensabili per affrontare le sfide di un ambiente lavorativo in rapida trasformazione.

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