Dall’e-commerce alla formazione alla cyber security: le imprese puntano sempre di più sul digitale, ma le PMI avanzano con lentezza

L’edizione 2022 del rapporto Istat “Imprese nell’ICT”, che misura il comportamento delle imprese italiane con più di 10 addetti rispetto a 12 indicatori di digitalizzazione (che costituiscono il Digital Intensity Index), evidenzia come continuino a persistere ampi divari tra grandi imprese e PMI, soprattutto in termini di specialisti ICT, e-commerce e attività di formazione. Migliora l’atteggiamento delle imprese nei confronti della cyber security, anche se resta ancora limitata l’adozione di tecniche di sicurezza informatica avanzata.

Pubblicato il 05 Gen 2023

Digitalizzazione


Il ricorso al lavoro da remoto nel 2020, che ha coinvolto sette imprese su dieci, ha inciso sull’aumento degli investimenti delle imprese in cyber security: nel 2020, infatti, il 48,3% delle imprese con almento dieci addetti (o imprese 10+) ha adottato documenti su misure, pratiche o procedure di sicurezza informatica, valore in aumento rispetto al 2019 (quando era il 34,4%) e sopra alla media UE (37%).

La cybersecurity preoccupa il 45,1% delle imprese più grandi, che per difendersi hanno stipulato un’assicurazione contro gli incidenti informatici. Tra le imprese di minore dimensione la quota è del 14,4% (rispettivamente 44,6% e 22,6% in Ue27). Rimangono invece stabili, rispetto al 2020, l’adozione di robotica e l’impiego di specialisti ICT.

Sono questi alcuni dei trend che emergono dall’edizione 2022 del rapporto imprese nell’ICT dell’Istat, che valuta il comportamento delle imprese rispetto a 12 caratteristiche specifiche: addetti connessi > 50%; presenza specialisti ICT; velocità download BL fissa >= 30 Mbit/s; uso delle riunioni online; addetti formati su obblighi legati a sicurezza ICT; formazione ICT nel corso del 2021; utilizzo di almeno 3 misure sicurezza ICT; adozione di doc su sicurezza ICT; accesso remoto a e-mail, doc, app aziendali; utilizzo di robot; con valore vendite online >=1% ricavi tot; con vendite web >1% ricavi tot e B2C >10% ricavi web.

Caratteristiche che contribuiscono alla definizione dell’indicatore composito di digitalizzazione denominato Digital Intensity Index (DII), utilizzato per identificare le aree nelle quali le imprese italiane ed europee incontrano maggiori difficoltà.

La transizione digitale nelle PMI procede con lentezza

Rispetto a questi 12 indicatori, si ricontrano divari significativi tra grandi imprese e PMI per qunato riguarda la presenza di specialisti ICT, la decisione di investire in formazione ICT nel corso dell’anno precedente, nell’uso di riunioni online e di documentazione specializzata sulle regole e le misure da seguire sulla sicurezza informatica.

Ampio anche il divario nell’utilizzo di robot e nella vendita online di almeno l’1% del fatturato totale, che riduce in modo significativo la quota complessiva di imprese con almeno dieci addetti che fanno ricorso a questi strumenti.

Rispetto al 2019 la quota di PMI nelle quali nell’anno 2022 più del 50% degli addetti hanno accesso a Internet per scopi lavorativi è aumentata quasi del 23%, eguagliando i tassi di crescita delle grandi imprese (passando rispettivamente dal 40% al 49% e dal 47% al 58%).

Nello stesso periodo, più marcata è la crescita degli addetti delle PMI che utilizzano dispositivi connessi a Internet, che aumenta dal 50% al 56% annullando la distanza con le grandi imprese (55,2%).

La banda larga fissa con velocità almeno pari a 30 Mbit/s risulta utilizzata dall’82,8% delle imprese 10+, contro il 96,1% di quelle più grandi. Più distanti invece le quote per connettività ad almeno 1 Giga, rispettivamente 13,2% e 27,1%.

L’andamento degli indicatori cambia rispetto al settore di attività delle imprese: per la maggior parte degli indicatori di connessione, sicurezza e formazione ICT, le migliori performance vengono registrate dalle imprese appartenenti al settore della domanda di ICT specializzata e strategica, come quello connesso alla fornitura di energia (D).

In questo settore operano l’86,4% delle imprese che hanno almeno il 50% degli addetti che accedono a Internet (la media è 49,3%), il 93,3% che ha attivato almeno tre
misure di sicurezza ICT (circa 20 punti percentuali più della media) e il 38,3% che ha fornito formazione in campo ICT ai propri addetti (19,3% imprese 10+).

Analoghe le performance dei settori delle professioni tecniche (indicate con la lettera M nella tabella sovrastsnte) e dei servizi di informazione e comunicazione (J); questi ultimi si distinguono per la presenza di specialisti ICT (59,9% verso una media del 13,4%) e la formazione effettuata per aggiornare o sviluppare le competenze ICT dei propri addetti (52,5% verso 19,3%).

Infine, le attività manifatturiere (C) emergono per l’utilizzo della robotica (19,1% a fronte di una media dell’8,7%) mentre con il 36,8% quelle di alloggio e ristorazione (I) sono le prime per l’utilizzo delle vendite online per valorin superiori all’1% del fatturato totale a fronte del 13,4% delle imprese con almeno dieci addetti.

Il DII, riferito alle sole PMI con un livello DII “di base”, è uno dei sub-indicatori della transizione digitale delle imprese misurata dall’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi) della Commissione, a cui il programma europeo “Bussola digitale 2030” ha attribuito anche un target (90%) da raggiungere entro il 2030.

Nel 2022 il 69,9% di imprese con 10-249 addetti si colloca a un livello base di digitalizzazione che prevede l’adozione di almeno quattro attività digitali su 12, ma appena il 26,8% si colloca a livelli definiti almeno alti dell’indicatore. Al contrario, per il 97,1% delle imprese con almeno 250 addetti si registra un livello almeno base e l’82,1% ha raggiunto quello almeno alto.

Ancora limitata la performance delle PMI nell’e-commerce

Nel Desi 2022 (l’indice con cui la Commissione europea misura il grado di digitalizzazione dei Paesi membri), misurato con i dati rilevati nel 2021, la dimensione legata all’integrazione delle tecnologie digitali collocava le imprese italiane in ottava posizione nella graduatoria europea.

I miglioramenti registrati nei servizi cloud e nella fatturazione elettronica hanno determinato il miglioramento nella graduatoria dell’Italia per l’adozione di tecnologie digitali tra il 2017 e il 2022 (dalla 12° alla 7° posizione).

Tuttavia, la limitata performance dell’e-commerce da parte delle piccole e medie imprese ha ridotto gli effetti di crescita delle tecnologie digitali misurate nell’edizione 2020 e 2021 dell’indagine.

I dati 2022 per le vendite online delle PMI ancora non rilevano miglioramenti significativi nella quota di imprese coinvolte ma solo nei valori scambiati: il 13,0% delle PMI ha effettuato vendite online per almeno l’1% del fatturato totale (12,7% nel 2021) e il 17,7% delle PMI attivo nell’e-commerce ha realizzato online il 13,5% dei ricavi totali (rispettivamente 17,9% e 9,4% nel 2021).

In generale, il 18,3% delle imprese con almeno dieci addetti ha effettuato vendite online fatturando il 17,8% del fatturato totale, rispettivamente 22,8% e 17,6% a livello Ue27.

Il valore delle vendite online si realizza soprattutto nel comparto del commercio (35,6%), seguito dal settore manifatturiero (28%, con prevalenza delle attività legate all’automotive) e per una analoga quota nel settore energetico. In termini dimensionali, il 60% del valore online proviene da vendite delle imprese di maggiori dimensioni e il 40% dalle PMI.

Nella composizione delle imprese che vendono online si confermano i settori già individuati, a parte quello energetico dove sono presenti poche imprese. Inoltre, emergono i settori della ristorazione e degli alloggi, che coprono più di un terzo (35%) di tutte le imprese attive nell’e-commerce e che, per il 95,1%, appartengono alla dimensione delle PMI.

Le imprese italiane con almeno dieci addetti che vendono via web figurano ancora tra le prime utilizzatrici in Europa di piattaforme online come intermediari, con un valore del 62,1% contro una media Ue27 del 44,4%.

Limitato l’utilizzo di misure di sicurezza avanzate

In linea con la media europea il numero di imprese 10+ che adotta almeno tre misure di sicurezza informatica (il 74,4% contro una media europea del 74%). La prevalenza nel nostro Paese di imprese di piccole dimensioni fa sì che siano più diffuse quelle misure di sicurezza meno sofisticate come l’autenticazione con password forte (83,9%, 82,2% nel 2019) e il back-up dei dati (80,0%, 79,2% nel 2019).

Più bassa, in cambio, la quota di imprese che adottano misure di sicurezza avanzate, necessarie, ad esempio, all’analisi degli incidenti di sicurezza come la conservazione dei file di registro (44,6%, 40,6% nel 2019) o preventive come le pratiche di valutazione del rischio (35,3%, era 33,8%) e l’esecuzione periodica di test di sicurezza dei sistemi (31,8%, era 33,5%).

Ancora limitata la diffusione di misure più sofisticate, come l’utilizzo della crittografia per dati, documenti o e-mail (dal 20,4% del 2019 al 22,0%) e di metodi biometrici per l’identificazione e l’autenticazione dell’utente (dal 4,5% all’8,2%).

In un tale contesto, l’aumento dell’adozione del lavoro da remoto ha esposto le imprese ai rischi inerenti possibili attacchi o intrusioni dall’esterno, con conseguente indisponibilità dei servizi, distruzione o corruzione dei dati o divulgazione di dati riservati.

Nel 2022, il 15,7% (10,1% nel 2019) delle imprese con almeno dieci addetti e il 33,1% delle imprese con almeno 250 addetti (21,7% nel 2019) hanno dichiarato di aver avuto nel corso dell’anno precedente almeno uno di questi problemi.

A livello settoriale, le imprese maggiormente colpite sono state quelle che operano nella fabbricazione di coke e prodotti derivanti da raffinazione: il 33,5% di queste ha infatti riportato attacchi informatici con conseguenza sulla sicurezza. Seguono quelle della fabbricazione di prodotti farmaceutici (27,2%) e delle attività editoriali (25,4%), mentre in coda si posizionano le imprese dell’industria tessile e abbigliamento (10,0%) e le imprese dei servizi postali (7,9%).

Il 48,3% (34,4% nel 2019) delle imprese dispongono di documenti relativi a misure, pratiche o procedure connesse alla sicurezza informatica che ad esempio riguardano la formazione degli addetti sull’uso sicuro degli strumenti informatici o la valutazione delle misure di sicurezza adottate. Di queste imprese, l’85,7% ha definito o aggiornato tali documenti negli ultimi due anni.

Infine, il 16,4% delle imprese con almeno dieci addetti hanno dichiarato di essersi assicurate contro incidenti connessi alla sicurezza ICT (13,0% nel 2019).

Sei imprese su dieci sono attente ai consumi e all’impatto ambientale dell’ICT

L’edizione 2022 della Rilevazione ICT, per la prima volta, ha indagato l’adozione di alcune semplici misure che incidono indirettamente sull’ambiente, come il controllo del consumo di carta (68,0%) o del consumo di energia delle apparecchiature ICT (52,2%).

Su questi due fronti, l’Italia risulta in vetta alla classifica europea, preceduta unicamente dal Portogallo. Il 74,9% delle imprese, infatti, adotta comportamenti green nella scelta della tecnologia valutandone anche l’impatto ambientale.

Inoltre, il 59,9% delle imprese combina la valutazione dell’impatto ambientale dei servizi o delle apparecchiature ICT, prima di selezionarli, con l’adozione di misure che incidono sul consumo di carta o di energia delle tecnologie informatiche.

Per quanto rigurarda lo smaltimento delle apparecchiature ICT, l’86,9% delle imprese le destina alla raccolta differenziata dei rifiuti elettronici (compresa quella effettuata direttamente dai propri fornitori), il 48,6% le conserva nell’impresa per utilizzare le parti di ricambio o per evitare che vengano divulgate informazioni sensibili, il 25,0% le rivende o le restituisce se in leasing, oppure le dona.

La variabilità dei comportamenti dipende più dall’attività economica svolta dalle imprese che dalla loro classe dimensionale. In generale, le più attente all’ambiente sono quelle attive nei servizi.

In particolare, nell’impatto ambientale dell’ICT risultano più virtuose le imprese attive nei servizi postali e di corriere, nelle telecomunicazioni e nei servizi di alloggio, mentre per il riutilizzo circolare dell’ICT sono più attive quelle del comparto editoriale, della fabbricazione di prodotti farmaceutici e della fornitura di energia.

Valuta la qualità di questo articolo

C
Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

email Seguimi su

Articoli correlati

Articolo 1 di 5