Sin dalla fine del 2016, quando il Piano Calenda ancora non era stato definitivamente approvato, nelle fiere di settore alcuni produttori di beni strumentali hanno iniziato a esporre, accanto ai loro macchinari, dei cartelli con la scritta “Industry 4.0 ready” o diciture simili. Al nostro sportello e nei commenti ai vari post che abbiamo pubblicato su questo sito sono arrivate diverse domande da parte di imprenditori che chiedevano se queste certificazioni fossero valide. Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
Dichiarazione, perizia e attestazione di conformità
La disciplina prevista dalla legge di bilancio 2017 e dalle sue successive modificazioni parla chiaro: perché un prodotto possa fruire dell’iperammortamento è sempre necessario produrre un documento che può avere tre diverse forme. Nel caso degli investimenti fino a 500 mila euro basta una dichiarazione del legale rappresentante dell’azienda utilizzatrice, mentre per gli investimenti di valore superiore è necessaria una perizia giurata o, in alternativa, un’attestazione di conformità rilasciata da un ente accreditato. Questa documentazione deve attestare che il bene abbia i requisiti merceologici – cioè rientri in una delle voci previste dalla legge -, rispetti i cinque requisiti e le due condizioni previsti nel caso dei beni appartenenti al primo raggruppamento e, infine, che avvenga effettivamente l’interconnessione ai sistemi di fabbrica (qui la definizione).
Come si evince, si tratta di certificazioni che deve produrre l’acquirente o un professionista da lui incaricato e non il produttore. Di conseguenza anche la responsabilità sulla veridicità delle dichiarazioni ricade in capo all’acquirente: è lui che deve produrre o far produrre la documentazione ed è lui il soggetto responsabile davanti all’Agenzia delle Entrate (e in qualche caso anche davanti a un giudice). Vi suggeriamo la lettura di questo articolo sulle conseguenze a cui si va incontro in caso di dichiarazioni erronee o false.
Le certificazioni Industry 4.0 Ready
Che cosa sono quindi queste certificazioni “Industry 4.0 Ready” che i produttori offrono con i loro beni? Dal punto di vista legale, come abbiamo visto, non sono previste. I fornitori di macchinari hanno però pensato di far “certificare” i propri prodotti a società di consulenza o enti di certificazione, andando ad attestare la rispondenza del prodotto ai requisiti merceologici e ai “5+2” requisiti e condizioni. In nessun caso, ovviamente, può essere certificata preventivamente l’interconnessione, che deve essere verificata sul campo e documentata a carico dell’utilizzatore.
L’intenzione dei produttori di macchinari è lodevole: se la cosiddetta certificazione “Industry 4.0 Ready” è fatta bene, rappresenta un utile aiuto all’imprenditore nel momento in cui deve produrre la dichiarazione del legale rappresentante. Meno utile, invece, quando ci si rivolga a un perito o a un ente accreditato per gli investimenti superiori ai 500 mila euro o, in via facoltativa, anche per quelli di importo minore. Ma – vale la pena ribadirlo – anche solo definirla “certificazione” è errato perché non esiste una procedura prevista da norme per questo tipo di attività.
Attenzione a…
A che cosa bisogna stare attenti? Vediamolo in dettaglio
- Ricordarsi che queste “certificazioni” Industry 4.0 Ready non hanno alcun valore legale. Occorre sempre preparare uno dei tre documenti richiesti dalla legge.
- Controllare che la “certificazione” riporti esattamente la voce merceologica alla quale il bene corrisponde e, soprattutto, verificarne la congruità. Ad esempio recentemente abbiamo avuto modo di vedere una “certificazione” nella quale un autolavaggio era classificato come “sistema robotizzato”, ma la voce dell’allegato A parla di “Robot, robot collaborativi e sistemi multi robot”. Gli autolavaggi, per quanto avanzati, non possono rientrare in questa categoria.
- Verificare che, nel caso in cui il bene rientri nelle prime voci della lista, sotto la categoria “Beni strumentali il cui funzionamento è controllato da sistemi computerizzati e/o gestito tramite opportuni sensori e azionamenti”, sia spiegato, in maniera congrua, perché e come il bene soddisfa i 5 requisiti previsti: controllo per mezzo di CNC (Computer Numerical Control) e/o PLC (Programmable Logic Controller); interconnessione ai sistemi informatici di fabbrica con caricamento da remoto di istruzioni e/o part program; integrazione automatizzata con il sistema logistico della fabbrica o con la rete di fornitura e/o con altre macchine del ciclo produttivo; interfaccia tra uomo e macchina (HMI, ndr) semplici e intuitive; rispondenza ai più recenti standard in termini di sicurezza, salute e igiene del lavoro. E’ importante sapere che i requisiti dell’integrazione e quello della sicurezza dipendono anche dal contesto in cui la macchina viene installata. Dichiarazioni generiche quindi lasciano il tempo che trovano.
- Verificare che sia spiegato, in maniera congrua, anche come il bene soddisfi le ulteriori condizioni previste, cioè essere dotato di due delle tre seguenti caratteristiche: sistemi di tele manutenzione e/o telediagnosi e/o controllo in remoto; monitoraggio in continuo delle condizioni di lavoro e dei parametri di processo mediante opportuni set di sensori e adattività alle derive di processo; caratteristiche di integrazione tra macchina fisica e/o impianto con la modellizzazione e/o la simulazione del proprio comportamento nello svolgimento del processo (sistema cyberfisico).
- Verificare la credibilità di chi ha rilasciato la “certificazione”. Chiunque può dichiarare che un macchinario è “industry 4.0 Ready”, ma siamo sicuri che abbia le competenze per farlo?
- Sottoporre comunque la “certificazione” Industry 4.0 Ready al vaglio di un consulente o un esperto indipendente. Anche la vostra associazione di categoria potrebbe darvi una mano.
- Ricordarsi che senza l’interconnessione nessun bene può fruire dell’agevolazione. L’interconnessione deve avvenire effettivamente in fabbrica ed essere documentata.
- Se si opta per la dichiarazione “fai da te” basandosi su queste “certificazioni”, le considerazioni contenute nella “certificazione” Industry 4.0 Ready diventeranno le vostre considerazioni, quindi valutate bene se fidarvi non tanto del venditore quanto di chi ha preparato quel documento.
- Valutare in ogni caso una perizia o un’attestazione di conformità, anche se il bene costa meno di 500 mila euro. Per quanto sia ormai stata fatta chiarezza su quasi tutti i punti della legge, ci sono ancora molte situazioni al limite. Come avete visto, in caso di errore la responsabilità è vostra, ma il supporto di un consulente competente può comunque risparmiarvi una parte delle conseguenze.
- Diffidate dei “faciloni”. Se avete anche il minimo dubbio sulla valutazione del vostro consulente, chiedete il parere anche di un secondo esperto.
La norma ISO TR/8373-2.3 definisce il robot industriale come: “Un manipolatore con più gradi di libertà, governato automaticamente, riprogrammabile, multiscopo, che può essere fisso sul posto o mobile per utilizzo in applicazioni di automazioni industriali”, quindi perché un autolavaggio a portale che svolge in maniera automatizzata il processo industriale di “lavare un auto” non potrebbe rientrare nella categoria “robot, robot collaborativi e sistemi multi-robot”?
Buongiorno, mi ricollego a questo post un po datato, poichè mi trovo nella situazione di dover asseverare la rispondenza ai requisiti di cui l’Industria 4.0 per un sistema di autolavaggio per il quale il costruttore ha rilasciato documento industria 4.0 Ready, tuttavia, nonostante abbia inviato una richiesta di chiarimento al MISE, non ho ricevuto alcuna risposta in merito.
Prendo spunto dall’articolo, ma capisce anche lei che una interpretazione non può essere attendibile quanto un decreto, una legge, ecc…. pertanto chiedo se nel frattempo qualcuno che si è trovato nella mia condizione, e come ha proceduto. NON voglio trovarmi in condizione di asseverare qualcosa per poi vedermelo contestare.
Grazie
Buongiorno, il Ministero ha rilasciato una serie di circolari e FAQ per non dover rispondere a tutti gli interpelli. Ha anche detto che la non risposta agli interpelli non equivale a silenzio-assenso.
Il consiglio è di basarsi, nelle sue valutazioni, su documentazione certa quali, appunto, sono FAQ e circolari. Provi, nel caso, a rifare l’interpello curando di compilarlo come spiegato qui https://www.innovationpost.it/2018/03/13/iperammortamento-oltre-1200-richieste-di-pareri-il-ministero-in-tilt/
Grazie per la pronta e precisa risposta.
Concordo pienamente con quanto scrive in riferimento alle possibilità date dalle interpretazioni estensive del MISE, volte ad ampliare la possibilità di utilizzo del beneficio.
Quello che secondo me è difficile, è trovare la categoria (tra le 12 dell’allegato A) che possa ricomprendere un “autolavaggio”.
Ritengo che, per poter applicare in tranquillità il beneficio, sia opportuno porre uno specifico quesito al MISE. E mi sorprende che i produttori di autolavaggi non l’abbiano ancora posto.
Buongiorno dr. Canna,
nell’articolo sopra, al termine del punto 2. scrive “Gli autolavaggi, per quanto avanzati, non possono rientrare in questa categoria.”
Con quest’affermazione intende che l’autolavaggio non è un “sistema robotizzato” oppure, più in generale, che non rientra nell’allegato A della legge di Bilancio 2017 e, quindi, non può fruire dell’Iperammortamento?
Grazie e saluti
Claudio Gava
Buongiorno, grazie per il suo commento. Quello nell’articolo voleva essere un esempio qualsiasi per invitare gli utilizzatori a valutare correttamente la rispondenza tra il bene e la categoria merceologica. Personalmente continuo a ritenere che un autolavaggio non dovrebbe rientrare negli incentivi perché non è un “sistema multi-robot”, ma una macchina automatica con elementi robotizzati che, come macchina, non sia prevista nell’elenco. Tuttavia l’articolo risale allo scorso aprile. A giudicare dalle interpretazioni estensive contenute nelle nuove FAQ di maggio (quelle, per intenderci, in cui viene sdoganato l’iperammortamento per i distributori automatici), non escluderei che la tesi da me riportata possa essere clamorosamente smentita.
Pingback: Perchè investire in tecnologie digitali: il rapporto del World Economic Forum - Innovation Post
Bravo Franco, è ora di fare chiarezza e mi sembra che con questo articolo sia stato fatto un bel passo in avanti. E’ bene anche ricordare che un elemento “cardine” della perizia giurata, nel caso in cui ci si rivolga a un professionista e non a un ente certificatore, è la dichiarazione di terzietà nel confronti della ditta fornitrice che il tecnico perito deve rilasciare quale parte integrante della perizia. Anche a me è capitato un caso in cui, con una faciloneria sorprendente, un’azienda mi ha candidamente risposto che la “certificazione 4.0” gliel’avrebbe rilasciata l’azienda fornitrice… auguri!
Altra nota dolente (per gli utenti che devono stare molto attenti). Al di sotto dei 500mila euro basta una dichiarazione resa dal legale rappresentante. Vero. Ma attenzione: non basta rilasciare atto notorio di poche righe in cui “Io sottoscritto dichiaro che…”. Forse molti commercialisti che seguono le imprese in questi investimenti non lo sanno, ma la dichiarazione va sempre accompagnata con una sia pur minima modalità descrittiva di come i beni soddisfino i 5+2 requisiti, interconnessione compresa. Spesso si pensa che un consulente terzo sia una spesa inutile, soprattutto al di sotto dei 500mila euro… ne siamo sicuri?