Decreto Dignità, Adapt: “Inefficace se non si ripensano le politiche attive”

Pubblicato il 16 Lug 2018

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Sugli effetti del Decreto Dignità, pubblicato nel weekend appena trascorso nella Gazzetta Ufficiale, provano a far luce gli esperti delle politiche del lavoro di Adapt – Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali, gruppo fondato nel 2000 da Marco Biagi. Gli studiosi hanno provato ad analizzare la situazione e a ipotizzare i possibili scenari futuri nel caso della trasformazione del testo in legge.

Lo studio, un’analisi tecnica, è stato raccolto in un libretto disponibile gratuitamente che si intitola “Misure per il contrasto al precariato: primo commento al decreto legge n. 87/2018 (c.d. decreto dignità)”, ed è a cura di Marco Menegotto, Francesco Seghezzi e Silvia Spattini.

Le statistiche: “Precariato italiano in linea con quello europeo”

Particolarmente significativo per l’interpretazione del testo è il contributo di Seghezzi intitolato “L’impatto sul mercato del lavoro alla luce dei dati”. L’analisi parte fornendo le statistiche necessarie per inquadrare la situazione del precariato in Italia nel contesto europeo. In primis, Seghezzi sottolinea che l’obiettivo del decreto è “avviare azioni di contrasto al fenomeno del precariato che, e questo è l’assunto di partenza, sarebbe aumentato notevolmente negli ultimi anni tanto da richiedere un intervento urgente. I contenuti del decreto ci fanno comprendere come il precariato sia identificato dal legislatore negli istituti del contratto a tempo determinato
e nel contratto di somministrazione, in particolare la somministrazione a tempo indeterminato”.

Lo studioso prende in esame un arco temporale che vede il suo inizio nel 2001, “data in cui viene liberalizzato in Italia mediante il d.lgs. n. 368 il contratto a termine superando la legge numero 230/1962 che lo prevedeva solo in poche determinate situazioni”. I dati indicano che “tra il 2001 e il 2013 la crescita complessiva di questa tipologia di occupati è stata quindi di 225mila unità, pari all’11,4%”. Dal 2014 al 2017 invece gli occupati a tempo determinato sono cresciuti di 446mila unità, pari al 19,6%. I dati dei primi mesi 2018 indicano che il trend sia ancora la crescita. Il giuslavorista individua però come la situazione italiana sia in linea con la media europea. Un altro valore contemplato dalla ricerca di Adapt è la durata dei contratti a tempo, che non è mai standard ma varia da situazione a situazione.

In conclusione, il giuslavorista individua come tra maggio 2017 e maggio 2018, in Italia ci siano stati 457mila occupati in più, divisi in 5mila permanenti, 434mila a termine e 19mila indipendenti: “Ciò significa che il 95% dei nuovi occupati ha una occupazione temporanea”.

La critica: “Per evitare la causale, si chiuderà il rapporto di lavoro”

Il decreto – spiega Seghezzi – non distinguerebbe tra i vari contratti a tempo e avrebbe un effetto negativo sui contratti di durata superiore ai dodici mesi, facilitando il turnover dei lavoratori per evitare la “causale” in caso di rinnovo ulteriore del dipendente a tempo: via uno, avanti l’altro insomma. La causale, per citare la definizione usata da Il Sole 24 ore in un articolo sul tema, è “una delle due nuove ragioni che giustificano l’utilizzo di un lavoratore a tempo determinato (esigenze temporanee, oggettive, estranee all’attività ordinaria o sostitutive di altri lavoratori, oppure connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria)”. Seghezzi evidenzia come, secondo la sua analisi, la volontà di evitare la causale si potrebbe facilmente concretizzare nella cessazione del rapporto di lavoro, procedendo all’assunzione di un altro lavoratore. Un sostituto che, sottolinea Adapt, “complice la disoccupazione che sfiora ancora l’11%, non sembrerebbe difficilissimo da trovare”.

Oltre a ciò, viene spiegato nel libretto di Adapt, è importante considerare anche il parametro del tempo indeterminato: “L’analisi dell’andamento dei contratti a tempo indeterminato mostra come la loro crescita non
sia spinta da un inasprimento della normativa sul contratto a termine, quanto da un intervento sul loro costo. L’insieme di queste due forze quindi potrebbe condurre, nello scenario attuale del mercato del lavoro italiano, ad una stretta sulle assunzioni regolari determinata dalla nuova normativa sul contratto a termine e dall’assenza di interventi sul contratto a tempo indeterminato”, si legge nello studio di Seghezzi.

Servono politiche attive

Secondo Adapt quindi, il Decreto stringe sui tempi determinati, senza introdurre le dovute tutele basandosi sulle attuali caratteristiche transizionali del mercato del lavoro, e senza una governance del mercato del lavoro: “Senza interventi in materia di politiche attive, riqualificazione professionale, formazione, nuovo welfare, l’intervento sulla normativa del contratto a termine difficilmente potrà portare a risultati positivi”, è la conclusione dell’analisi di Seghezzi.

Ma come si potrebbe fare per migliorare la situazione? Secondo Adapt, “gli interventi necessari sarebbero quindi quelli che vanno ad incidere in questa complessa trama di transizioni che se da un lato può consentire maggior autonomia ai lavoratori e alle imprese, dall’altro può lasciare indietro molte persone, complice anche la spinta dell’innovazione tecnologica”.

In particolare, conclude l’autore dello studio, bisognerebbe ripensare alle politiche attive, rinnovare il sistema di welfare e valutare interventi di sostegno al reddito, ma lavorare anche su moderne politiche di istruzione e formazione dei lavoratori.

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Nicoletta Pisanu

Giornalista, collabora da anni con testate nazionali e locali. Laureata in Linguaggi dei Media e in Scienze sociali applicate all'Università Cattolica di Milano, è specializzata in cronaca.

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