La nuova legge di bilancio rischia di tagliare le gambe all’innovazione, riducendo dal 50% al 25% il credito d’imposta per le spese in ricerca e sviluppo delle imprese e riducendo da 20 a 10 milioni il tetto massimo previsto per l’incentivo. Si preannunciano così tempi cupi per gli investimenti nel Paese. Con possibili, pesanti, ripercussioni.
Negli ultimi anni c’è stato solo un settore che ha mantenuto i livelli totali di spesa, dedicati alla ricerca in Italia, al di sopra della linea di galleggiamento, permettendogli di non affondare: le imprese private. Invece il contributo del comparto pubblico e delle università è rimasto spesso fermo al palo, quando non è addirittura diminuito.
Con il taglio dell’incentivo contenuto nelle ultime bozze circolate della legge di bilancio 2019, lo Stato anziché sostenere, attraverso gli incentivi fiscali, l’innovazione e la competitività dell’industria e della manifattura italiana, rischia di tagliargli le gambe e le risorse su cui muoversi.
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Le imprese finora hanno sostenuto la ricerca
Secondo dati e analisi Istat, la spesa in ricerca e sviluppo delle Istituzioni italiane, nel 2016, è rimasta del tutto ferma, invariata (variazione dello 0%, a 2,9 miliardi di euro), mentre quella delle Università è addirittura calata dell’1% (a 5,5 miliardi di euro).
Il suo valore complessivo è cresciuto del 4,8% solo grazie alla spesa delle imprese private, che nel 2016 è aumentata del 9% (a 14 miliardi di euro). In totale rappresenta l’1,3% del Pil nazionale, ed è praticamente bloccata (cresce di un ridottissimo 0,04% sul Pil). Gli investimenti in ricerca e sviluppo di Amministrazioni centrali, Regioni e Province autonome nel 2017 sono diminuiti di 200 milioni di euro (da 8,7 a 8,5 miliardi di euro), mentre è crollata la spesa delle Istituzioni private Non-profit, con -18% (a 575 milioni di euro).
Per il 2018, rileva l’Istat, è attesa una ripresa degli investimenti da parte delle Istituzioni pubbliche: si stima un +5,6%. Ma tutto da verificare alla prova dei fatti, e dei conti finali. Chi finora ha tenuto a galla la ricerca e l’innovazione sono state le imprese, che non vengono certo premiate e gratificate dalle misure previste in Manovra.
Come funziona oggi il Credito d’Imposta
L’incentivo ad oggi vigente prevede la possibilità per le imprese di fruire fino al 2020 di un credito d’imposta di importo pari al 50% per le spese incrementali (rispetto all’investimento medio effettuato nel triennio 2012-2014) in ricerca fondamentale, ricerca industriale e sviluppo sperimentale, entro il limite di 20 milioni di euro all’anno. Un Bonus fiscale riconosciuto a tutte le imprese, enti non commerciali, consorzi e reti d’impresa, indipendentemente dalla loro natura giuridica, dimensione aziendale e settore economico di appartenenza.
I tagli: dal 50 al 25%, da 20 a 10 milioni
Dal primo gennaio 2019 in poi, secondo la bozza della manovra del governo Conte, il credito d’imposta per la ricerca e sviluppo viene tagliato della metà, con l’aliquota che passa dal 50 al 25%, come della metà viene tagliato anche il livello massimo di investimenti assoggettabili al Bonus fiscale, che passa da 20 milioni a 10 milioni di euro l’anno. Con alcune eccezioni: il Bonus resta al 50% per le spese che riguardano il personale dipendente interno all’azienda, direttamente impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo. E per i contratti stipulati con università, enti di ricerca, Startup innovative e Pmi innovative, quando non appartengono allo stesso Gruppo dell’impresa committente.
In tutti gli altri casi, si prospetta un taglio pesante, con le forbici del governo che rischiano di troncare molti progetti e buone intenzioni, da parte di aziende e imprenditori, per fare innovazione e sviluppo.
Nessuna proroga prevista oltre il 2020
Altro tassello che oscura il quadro generale è il limite temporale entro il quale è prevista la misura di incentivo fiscale per gli investimenti, che resta fissato al 2020, senza al momento alcuna proroga. Mentre da più parti si caldeggiava già un prolungamento di almeno un anno, per arrivare a fine 2021.
Per procedere poi ai relativi controlli sui Bonus, la bozza di Manovra prevede che «le imprese beneficiarie del credito d’imposta sono tenute a realizzare una relazione tecnica che illustri le finalità, i contenuti e i risultati delle attività di ricerca e sviluppo svolte in ciascun periodo d’imposta». E nel caso in cui le attività di ricerca siano commissionate a soggetti terzi, «la relazione deve essere rilasciata all’impresa da chi esegue le attività di ricerca e sviluppo».
Attività che, se queste misure verranno confermate, rischiano di subire una brusca frenata. Quando sono proprio gli investimenti delle imprese, negli ultimi tempi, ad aver sostenuto la ricerca in Italia.
Il “no” delle imprese, a partire da Assobiotec
Dal mondo delle imprese le reazioni negative, alle intenzioni del governo, non si sono fatte attendere. Tra le prime, quella di Riccardo Palmisano, presidente di Assobiotec, l’associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica: “Osserviamo con sorpresa e disappunto che nella bozza della nuova legge di Bilancio trovi posto il dimezzamento del credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, una delle misure più efficaci adottate negli scorsi anni per aiutare la crescita delle imprese”, e “una delle poche misure efficaci per stimolare ricerca e innovazione nel Paese”, ha detto.
Il credito d’imposta, spiega, ha tra l’altro anche contribuito a spingere alcune grandi realtà internazionali del settore delle biotecnologie a trasferire centri di ricerca in Italia. Incentivare le attività di ricerca e sviluppo delle imprese “non è solo una misura di buon senso per capitalizzare sugli investimenti fatti in formazione, ma è fondamentale per la competitività futura”, rimarca il presidente di Assobiotec. “È una misura che ha permesso, in questi anni, a tante realtà Biotech piccole, medie e grandi di sostenere un significativo incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo, con importanti ricadute occupazionali e sviluppo dei ricavi”, per cui “la mancanza di questi incentivi comporterebbe una grave e ulteriore perdita di competitività del nostro Paese”.
Negativo anche il parere di Andrea Bianchi, Direttore delle Politiche Industriali di Confindustria.