Non sono ancora noti i dettagli del Piano per la manifattura digitale o Industria 4.0 che sarà inserito nella prossima Legge di Bilancio, ma già è tempo di polemica. Non tanto e non solo sulle misure fiscali che vi saranno contenute – su tutti il cosiddetto iperammortamento per gli investimenti in beni digitali – quanto per il passaggio che il Ministro ha fatto, nel corso del suo recente intervento a Cernobbio, sulla necessità di concentrare i finanziamenti su “4-5 Università” per lo sviluppo di competence centersulla manifattura innovativa volti a favorire la crescita degli scambi tra mondo accademico e industriale.
Il Ministro però non ha detto quali saranno le Università, lasciando intendere che saranno scelte con metodo meritocratico, sulla base del loro ranking, e non territoriale. Molto probabilmente – è opinione diffusa – a spartirsi la torta saranno Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Sapienza di Roma e Università di Padova, quest’ultima magari nella sua veste di membro del nuovo Venice Innovation Hub. Secondo un recentissimo articolo del Sole le Università coinvolte sarebbero invece i politecnici di Milano, Torino e Bari, l’università di Bologna e la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
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Le reazioni
E’ giusto concentrare il supporto statale su pochi soggetti, andando di fatto a certificare atenei di serie A, che sono i più forti e avranno accesso a una quantità ancora maggiore di risorse, relegando il resto delle strutture al ruolo di gregari?
Le opinioni sono le più diverse (ne riporta diffusamente alcune un interessate articolo diAgenda Digitale). Marco Taisch (Politecnico di Milano), che avrò modo di incontrare personalmente il prossimo mese in occasione del Connected Manufacturing Forum di Milano, è favorevole perché “gli investimenti a pioggia non consentono di fare massa critica”. Anche Germania e USA, spiega, hanno individuato tre-quattro grandi laboratori, al servizio del paese.
Anche Carlo Alberto Carnevale Maffè (Bocconi) la pensa così: per lui la formazione superiore “non è una materia di welfare, le scarse risorse vanno concentrate”.
Critico invece Mauro Lombardi, economista dell’Università di Firenze: i centri di eccellenza devono essere collegati aspecifiche aree strategiche come la robotica, l’intelligenza artificiale e poi design, genomica, chimica ed energia.
In un altro articolo l’opinione radicalmente contraria di Elisa Marchetti, coordinatrice dell’Unione degli Universitari, secondo la quale Calenda avalla in tal modo “l’inconcepibile principio per cui l’Università e la Ricerca debbano essere al servizio dell’azienda e dell’impresa”, il che “oltre che dannoso per le prospettive dello stesso sistema economico, va a minare completamente il principio della libera ricerca e libero insegnamento interno alle Università, che si troverebbero a rincorrere delle necessità imposte da privati”.
Qualche considerazione
Una cosa è certa: l’impostazione del Ministro intende mettere in una competizione virtuosa le Università e le incentivi a essere “meritevoli” per potersi proporre come soggetto forte nello sviluppo delle competenze. E non c’è niente di male.
Ma è una cosa che potrebbe funzionare solo se ciascun centro di competenza si ponesse come capofila di un sistema di atenei organizzati sia per territorio che per competenze. Se insomma facesse squadra. La “manifattura innovativa” è infatti il risultato di un insieme di competenze che spaziano dalla meccatronica all’analisi statistica, dalle tecniche di produzione additiva a tematiche IT come la cyber security, dai sistemi di comunicazione alla robotica. E questa non è una banalità perché abbiamo delle eccellenze in alcuni di questi ambiti che sicuramente non risiedono negli atenei che saranno nominati.