Fondazione Adapt: “Industria 4.0 riuscita a metà. Senza competenze si vanificano gli investimenti”

La Fondazione Adapt dà le pagelle del primo anno del piano governativo. Bene gli incentivi, manca il capitolo sul lavoro. E i competence center

Pubblicato il 21 Set 2017

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Tempo di pagelle per il piano industria 4.0 del governo, che l’altro giorno, a un anno distanza dall’avvio, è entrato nella fase due. Il giudizio sui primi dodici mesi di attività porta in calce la firma dei ricercatori della Fondazione Adapt. Ed è un giudizio positivo solo a metà perché, come scrivono gli autori di un complesso ebook di analisi sul piano industria 4.0, se gli incentivi agli investimenti in tecnologia hanno dato i loro frutti, il progetto sullo sviluppo delle risorse umane e delle competenze per governare i nuovi paradigmi tecnologico è rimasto lettera morta.

“Non si tratta solo di un 50% realizzato e un 50% ancora da realizzare, la relazione tra i due pilastri è più profonda”, scrivono gli autori dell’ebook, Elena Prodi, Francesco Seghezzi (direttore della Fondazione) e Michele Tiraboschi (coordinatore scientifico della Fondazione). E aggiungono: “Senza competenze e senza nuove forme di organizzazione e regolazione del lavoro il rischio è quello di vanificare gli investimenti fatti, o di utilizzarli unicamente come un semplice rinnovamento del parco macchine”. Lo stesso ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha ammesso che l’avvio dei Competence center è in netto ritardo.

Avvertimenti

Già un anno fa Seghezzi e Tiraboschi avevano messo in guardia il governo sul rischio di dimenticare per strada la formazione e, di conseguenza, di rallentare la trasformazione dei processi industriali. In uno scritto posto in apertura del nuovo ebook, i due docenti osservano che “sorprende invero la concentrazione pressoché totale del “Piano nazionale Industria 4.0” del governo italiano sulla produzione manifatturiera e sulla fabbrica in un momento storico nel quale, proprio grazie all’internet delle cose, industria e servizi sono sempre più interconnessi tra loro dando origine a modelli di business, mercati, processi, prodotti e dinamiche del consumo non solo nuovi ma anche integrati”.

Alla luce di questo cambiamento, dividere i settori, le funzioni e i ruoli è per gli studiosi della Fondazione un rischio. Poiché non si coglie la metamorfosi e l’integrazione che tutto unisce, tutto mescola. “Tutto questo può essere gestito al meglio solo all’interno di imprese che innovino i loro modelli di business evolvendosi verso sistemi aperti ad integrazione orizzontale, bottom-up e non più top-down, che dialoghino costantemente e in tempo reale con tutti gli attori in grado a concorrere alla creazione di valore”, rimarcano dal centro di studi.

Preparare nuove forze

In quest’ottica non si può più rimandare un piano Lavoro 4.0, che tenga conto dei processi di istruzione e formazione nella scuola, della riqualificazione di quei lavoratori che alle ultime conquiste tecnologiche non sono avvezzi e della continua erogazione di corsi per le carriere discontinue che sempre più caratterizzeranno il mondo del lavoro. Di fatto, il contrario del Jobs Act, di cui il piano Impresa 4.0 potrebbe essere interprete più competente ed efficace.

Il caso dei competence center

Per questo gli autori rimarcano che non si può più differire l’avvio dei competence center. Scrivono: “Acquista così particolare importanza il capitolo del piano Industria 4.0 dedicato ai competence center, esperienze già radicate e sviluppate in molti altri Paesi e che invece da noi richiede ancora, da parte del governo, una elaborazione progettuale ed una spiegazione dettagliata del funzionamento, che pare sarà rimandata alla fine dell’anno quando verrà pubblicato il relativo bando”.

Nel frattempo Adapt ha coinvolto Fim Cisl in un’analisi di cosa dovrebbero essere i competence center, che sarà messa nero su bianco in una proposta all’interno di un libro bianco, di cui è prossima la pubblicazione. Fondazione e sindacato li intendono “come dei veri e propri hub della conoscenza, costruiti non su base territoriale ma sulla base della specializzazione tematica e coinvolgendo tutti gli attori che possono aiutare, come università, centri di ricerca, istituzioni locali, agenzie per il lavoro, sindacati”.

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Luca Zorloni

Cronaca ed economia mi sono sembrate per anni mondi distanti dal mio futuro. E poi mi sono ritrovato cronista economico. Prima i fatti, poi le opinioni. Collaboro con Il Giorno e Wired e, da qualche mese, con Innovation Post.

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