Lo sviluppo dell'AI

Intelligenza artificiale, crescita record del mercato in Italia (+52%): in 10 anni sostituirà il lavoro di circa 3,8 milioni di persone

Il mercato dell’Intelligenza artificiale in Italia nel 2023 segna un balzo del +52%, raggiungendo il valore di 760 milioni di euro. Sei grandi imprese italiane su dieci hanno già avviato un progetto di Artificial intelligence, rispetto al 18% delle Piccole e medie imprese

Pubblicato il 01 Feb 2024

IntelligenzaArtificiale

È una crescita impetuosa. Molto più che a semplice doppia cifra. E siamo solo ai primi passi. Il mercato dell’Intelligenza artificiale in Italia nel 2023 segna un balzo del +52%, raggiungendo il valore di 760 milioni di euro.

Con questa sequenza di sviluppo: +24% nel 2019, +15% nel 2020, +27% nel 2021, e poi ancora +32% nel 2022, fino al +52% dell’ultimo anno. Per una crescita complessiva del mercato pari al +262% in questi ultimi 5 anni.

Gran parte degli investimenti riguarda soluzioni di analisi e interpretazione testi per ricerca semantica, di classificazione, sintesi e spiegazione di documenti o agenti conversazionali tradizionali, mentre sono ancora limitati al 5% del totale (per un valore di 38 milioni di euro) i progetti di Generative AI.

L’analisi dell’Osservatorio Artificial Intelligence

Sei grandi imprese italiane su dieci hanno già avviato un qualche progetto di Intelligenza artificiale, almeno a livello di sperimentazione, ma due su tre hanno già discusso internamente delle applicazioni delle Generative AI e tra queste una su quattro ha avviato una sperimentazione (il 17% del totale). Finora invece solo il 18% delle PMI italiane ha già avviato qualche progetto di AI.

Sono alcuni dei risultati e delle tendenze che emergono dalla ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, presentata al convegno ‘AI al centro: novità, applicazioni e regole’.

“Da parte della comunità scientifica è doveroso guidare il percorso di adozione dell’AI e dell’AI Generativa, cercando di evitare la fase di disillusione che solitamente caratterizza il processo di adozione di nuove tecnologie”, sottolinea Nicola Gatti, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence.

A questo riguardo, sono tre le principali criticità che riguardano oggi l’AI: poter garantire che i risultati dei sistemi di AI siano corretti — tipicamente si parla di robustezza —; poter garantire che le decisioni prese siano spiegabili alle persone — tipicamente si parla di Explainability —; certificare che i sistemi di AI rispettino le regolamentazioni europee e che i rischi potenziali siano mitigati. “Come Politecnico di Milano, attraverso il partenariato esteso del progetto Fair, stiamo portando avanti la ricerca in ambito Adaptive AI proprio per dare risposta a queste sfide”.

Il mercato dell’AI in Italia

Il 90% del mercato dell’Intelligenza artificiale in Italia è generato dall’attività delle grandi imprese. Il resto è suddiviso in modo equilibrato tra PMI e Pubblica amministrazione. La quota più significativa del mercato (29%) è legata a soluzioni per analizzare ed estrarre informazioni dai dati. Il 27% è per progetti di interpretazione del linguaggio, scritto o parlato.

Il 22% per algoritmi che suggeriscono ai clienti contenuti in linea con le singole preferenze. Il 10% è per analisi di video e immagini, il 7% Process orchestration systems, il 5% Generative AI. Guardando alla spesa media per azienda, ai primi posti Telco-Media e assicurazioni, seguiti da Energy, Utility, banche e finanza.

La maturità delle aziende

L’Osservatorio ha analizzato la maturità delle grandi organizzazioni nel percorso di adozione dell’AI, arrivando a individuare cinque diversi profili. L’11% è ‘avanguardista’ (in crescita di 2 punti percentuali rispetto all’anno scorso), aziende che hanno raggiunto la piena maturità a livello tecnologico, organizzativo e gestionale nell’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale.

Il 23% è ‘apprendista’, cioè hanno diversi progetti avviati ma difficilmente impiegano metodologie strutturate nel gestirli e tendono a far ricorso a soluzioni standard o pronte all’uso. Nel restante 66% dei casi, restano situazioni eterogenee: ci sono organizzazioni in cammino (29%), dotate degli elementi abilitanti ma con pochi progetti, e aziende che non percepiscono il tema come rilevante e non dispongono di un’infrastruttura IT adeguata alla gestione di grandi quantità di dati.

La crescita di produttività

L’effetto di tutte le abilità dei sistemi di IA sarà un forte incremento di produttività in tutti i settori in cui l’IA potrà fornire risultati di qualità pari o superiore a quelli degli esseri umani, in un tempo largamente più breve e con costi molto inferiori.

“Questo aumento di produttività non sarà isolato nel tempo, ma continuo, perché le capacità delle IA saranno sicuramente estese e perfezionate anno dopo anno, almeno per il tempo a oggi prevedibile”, rimarca Stefano Machera, nel suo libro ‘Come l’Intelligenza artificiale cambia il mondo’, pubblicato da FrancoAngeli.

Machera fa notare: “l’IA provocherà un aumento annuo costante della produttività in molti settori e in tutto il mondo, generando una considerevole quantità di ricchezza. Solo come esempio, McKinsey stima che l’IA generativa possa creare una ricchezza tra i 2,6 e i 4,4 trilioni di dollari l’anno, in aggiunta agli 11-17,7 trilioni che ci si possono attendere dall’AI non generativa”.

Gli impatti sul mondo del lavoro

Gli impatti sul mondo del lavoro saranno molto significativi. Già oggi, in Italia, l’Intelligenza artificiale ha un potenziale di automazione del 50% di ‘posti di lavoro equivalenti’ (l’equivalente in posti di lavoro della somma del tempo impiegato in singole attività che possono essere affidati alle macchine), finora realizzato in minima parte, considerando anche che il ruolo dell’AI è più di supporto che di vera e propria sostituzione. Ma da qui a 10 anni, le nuove capacità delle macchine potrebbero svolgere il lavoro di 3,8 milioni di persone in Italia.

Nel valutare il reale impatto sul lavoro, però, bisogna tenere in considerazione le previsioni demografiche che, a causa dell’invecchiamento della popolazione, prospettano un gap di 5,6 milioni di posti di lavoro equivalenti entro il 2033. In questa prospettiva, “la possibile automazione di 3,8 milioni di posti di lavoro equivalenti appare quasi una necessità per ribilanciare un enorme problema che si sta creando, più che un rischio”, rimarca Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence.

Che fa notare: “soltanto prestando attenzione alle nuove esigenze dei lavoratori, alla formazione e ad un’equa redistribuzione dei benefici, la società riuscirà a trarre valore dallo sviluppo dell’AI”.

A rischio innanzitutto i ‘colletti bianchi’

Un rapporto di Goldman Sachs prevede un impatto della sola IA generativa sulle attività lavorative pari a circa il 25% su scala mondiale. Per quanto riguarda specificamente l’Eurozona, questo impatto corrisponderebbe al 24%.

Con notevoli differenze tra i diversi tipi di lavoro: l’automazione, e la conseguente perdita di posti di lavoro, colpirà innanzitutto le attività intellettuali, e molto poco quelle manuali. Impiegati, professionisti, tecnici qualificati, manager: queste categorie rischiano di essere automatizzate molto di più di operai o artigiani, che semmai sono minacciati dall’automazione ‘tradizionale’, che ovviamente continua.

Secondo uno studio del Boston Consulting Group, se le imprese vogliono trarre reali benefici dall’IA, devono puntare soprattutto su due elementi: velocità decisionale e team orizzontali rispetto alle diverse divisioni dell’azienda.

Velocità operativa e team orizzontali

Caratteristiche che si addicono poco, secondo i risultati della ricerca, ad esempio al modello aziendale tedesco, criticato per la rigidità e l’eccessiva compartimentalizzazione, dove l’IA è invece una famiglia di tecnologie sia radicali sia pervasive che devono trovare un terreno di adozione all’interno delle organizzazioni molto ampio, in senso sia verticale sia orizzontale, perché ne siano sfruttate appieno le potenzialità.

“Per cultura e dimensione, almeno sulla carta le aziende italiane possono contare sul vantaggio competitivo di avere una maggiore flessibilità interna, in particolare le PMI, che dispongono di una struttura burocratica più snella”, sottolinea Stefano Da Empoli nel volume ‘L’economia di ChatGPT’ (edizioni Egea). In questo senso, le PMI “sono teoricamente in grado di adottare un nuovo modello aziendale in tempi molto più rapidi e con modalità trasversali alle diverse funzioni”.

Visione di lungo termine e snellezza decisionale

Ad aiutare questo processo “potrebbe tornare utile quella che viene comunemente percepita come una peculiarità negativa del modello italiano”, rileva Da Empoli: “non tanto l’elevata presenza di aziende familiari, quanto la capillare partecipazione da parte di esponenti della proprietà alle posizioni manageriali di vertice”.

È evidente che “manager della famiglia proprietaria con competenze sbagliate o insufficienti continueranno a far danni, con o senza IA. Ma l’unità del team manageriale, la visione di medio-lungo termine e la snellezza decisionale, che non deve passare attraverso lo sforzo di persuadere una pluralità eterogenea di interlocutori interni o esterni all’azienda, sono pregi potenzialmente enormi di fronte alle esigenze di rapida e pervasiva implementazione dell’IA”.

Questo purché – questioni finanziarie a parte – “si superino due problemi rilevanti, specie per organizzazioni più piccole: competenze digitali quantomeno di base del top management e procedure interne adeguate ad assicurare sia un processo top-down che uno bottom-up di execution”.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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