È una crescita impetuosa. Molto più che a semplice doppia cifra. E siamo solo ai primi passi. Il mercato dell’Intelligenza artificiale in Italia nel 2023 segna un balzo del +52%, raggiungendo il valore di 760 milioni di euro.
Con questa sequenza di sviluppo: +24% nel 2019, +15% nel 2020, +27% nel 2021, e poi ancora +32% nel 2022, fino al +52% dell’ultimo anno. Per una crescita complessiva del mercato pari al +262% in questi ultimi 5 anni.
Gran parte degli investimenti riguarda soluzioni di analisi e interpretazione testi per ricerca semantica, di classificazione, sintesi e spiegazione di documenti o agenti conversazionali tradizionali, mentre sono ancora limitati al 5% del totale (per un valore di 38 milioni di euro) i progetti di Generative AI.
Indice degli argomenti
L’analisi dell’Osservatorio Artificial Intelligence
Sei grandi imprese italiane su dieci hanno già avviato un qualche progetto di Intelligenza artificiale, almeno a livello di sperimentazione, ma due su tre hanno già discusso internamente delle applicazioni delle Generative AI e tra queste una su quattro ha avviato una sperimentazione (il 17% del totale). Finora invece solo il 18% delle PMI italiane ha già avviato qualche progetto di AI.
Sono alcuni dei risultati e delle tendenze che emergono dalla ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, presentata al convegno ‘AI al centro: novità, applicazioni e regole’.
A questo riguardo, sono tre le principali criticità che riguardano oggi l’AI: poter garantire che i risultati dei sistemi di AI siano corretti — tipicamente si parla di robustezza —; poter garantire che le decisioni prese siano spiegabili alle persone — tipicamente si parla di Explainability —; certificare che i sistemi di AI rispettino le regolamentazioni europee e che i rischi potenziali siano mitigati. “Come Politecnico di Milano, attraverso il partenariato esteso del progetto Fair, stiamo portando avanti la ricerca in ambito Adaptive AI proprio per dare risposta a queste sfide”.
Il mercato dell’AI in Italia
Il 90% del mercato dell’Intelligenza artificiale in Italia è generato dall’attività delle grandi imprese. Il resto è suddiviso in modo equilibrato tra PMI e Pubblica amministrazione. La quota più significativa del mercato (29%) è legata a soluzioni per analizzare ed estrarre informazioni dai dati. Il 27% è per progetti di interpretazione del linguaggio, scritto o parlato.
La maturità delle aziende
L’Osservatorio ha analizzato la maturità delle grandi organizzazioni nel percorso di adozione dell’AI, arrivando a individuare cinque diversi profili. L’11% è ‘avanguardista’ (in crescita di 2 punti percentuali rispetto all’anno scorso), aziende che hanno raggiunto la piena maturità a livello tecnologico, organizzativo e gestionale nell’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale.
La crescita di produttività
L’effetto di tutte le abilità dei sistemi di IA sarà un forte incremento di produttività in tutti i settori in cui l’IA potrà fornire risultati di qualità pari o superiore a quelli degli esseri umani, in un tempo largamente più breve e con costi molto inferiori.
Machera fa notare: “l’IA provocherà un aumento annuo costante della produttività in molti settori e in tutto il mondo, generando una considerevole quantità di ricchezza. Solo come esempio, McKinsey stima che l’IA generativa possa creare una ricchezza tra i 2,6 e i 4,4 trilioni di dollari l’anno, in aggiunta agli 11-17,7 trilioni che ci si possono attendere dall’AI non generativa”.
Gli impatti sul mondo del lavoro
Gli impatti sul mondo del lavoro saranno molto significativi. Già oggi, in Italia, l’Intelligenza artificiale ha un potenziale di automazione del 50% di ‘posti di lavoro equivalenti’ (l’equivalente in posti di lavoro della somma del tempo impiegato in singole attività che possono essere affidati alle macchine), finora realizzato in minima parte, considerando anche che il ruolo dell’AI è più di supporto che di vera e propria sostituzione. Ma da qui a 10 anni, le nuove capacità delle macchine potrebbero svolgere il lavoro di 3,8 milioni di persone in Italia.
Che fa notare: “soltanto prestando attenzione alle nuove esigenze dei lavoratori, alla formazione e ad un’equa redistribuzione dei benefici, la società riuscirà a trarre valore dallo sviluppo dell’AI”.
A rischio innanzitutto i ‘colletti bianchi’
Un rapporto di Goldman Sachs prevede un impatto della sola IA generativa sulle attività lavorative pari a circa il 25% su scala mondiale. Per quanto riguarda specificamente l’Eurozona, questo impatto corrisponderebbe al 24%.
Con notevoli differenze tra i diversi tipi di lavoro: l’automazione, e la conseguente perdita di posti di lavoro, colpirà innanzitutto le attività intellettuali, e molto poco quelle manuali. Impiegati, professionisti, tecnici qualificati, manager: queste categorie rischiano di essere automatizzate molto di più di operai o artigiani, che semmai sono minacciati dall’automazione ‘tradizionale’, che ovviamente continua.
Secondo uno studio del Boston Consulting Group, se le imprese vogliono trarre reali benefici dall’IA, devono puntare soprattutto su due elementi: velocità decisionale e team orizzontali rispetto alle diverse divisioni dell’azienda.
Velocità operativa e team orizzontali
Caratteristiche che si addicono poco, secondo i risultati della ricerca, ad esempio al modello aziendale tedesco, criticato per la rigidità e l’eccessiva compartimentalizzazione, dove l’IA è invece una famiglia di tecnologie sia radicali sia pervasive che devono trovare un terreno di adozione all’interno delle organizzazioni molto ampio, in senso sia verticale sia orizzontale, perché ne siano sfruttate appieno le potenzialità.
Visione di lungo termine e snellezza decisionale
Ad aiutare questo processo “potrebbe tornare utile quella che viene comunemente percepita come una peculiarità negativa del modello italiano”, rileva Da Empoli: “non tanto l’elevata presenza di aziende familiari, quanto la capillare partecipazione da parte di esponenti della proprietà alle posizioni manageriali di vertice”.
Questo purché – questioni finanziarie a parte – “si superino due problemi rilevanti, specie per organizzazioni più piccole: competenze digitali quantomeno di base del top management e procedure interne adeguate ad assicurare sia un processo top-down che uno bottom-up di execution”.