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Verso una nuova era della politica industriale: le imprese chiedono tutele e supporto agli investimenti



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Dopo un 2025 segnato dalla stagnazione economica e dall’incertezza sulle misure di incentivazione, il settore manifatturiero guarda al 2026 con maggiore ottimismo e attende la nuova misura per la Transizione 4.0 e 5.0 basata sull’iperammortamento e finanziata con risorse nazionali. Il Governo è al lavoro per garantire un orizzonte pluriennale e intende aggiornare gli allegati tecnologici. Le imprese, intanto, chiedono all’Europa semplificazioni e tutele nei confronti della concorrenza asiatica…

Pubblicato il 10 dic 2025



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Il 2025 è stato un anno di certo non semplice per le imprese manifatturiere, con molti comparti che si apprestano a chiudere l’anno registrando cali di fatturato o numeri che, seppure in crescita, rappresentano una decisa frenata rispetto agli anni scorsi.

Una situazione attribuibile al difficile contesto economico in cui si trovano ad operare, ma anche alle tensioni geopolitiche e le guerre commerciali tra le grandi potenze.

Uno scenario complesso a cui si aggiunge la fine dell’era degli incentivi basati sul meccanismo del credito d’imposta, con la chiusura anticipata dei piani Transizione 4.0 e Transizione 5.0.

Con il 2026 si aprirà quindi una nuova fase della politica industriale, con le imprese che necessitano di strumenti certi e che possano permettere di programmare gli investimenti necessari a mantenere competitività.

Sono stati proprio questi i temi al centro della tavola rotonda “La nuova era della politica industriale” che si è svolta presso il Competence Center MADE 4.0.

L’incontro ha visto esponenti del mondo industriale e politico tracciare le somme dell’anno che sta per concludersi e confrontarsi sugli strumenti che nel 2026 dovranno sostenere le imprese negli investimenti e nella capacità innovativa.

Il contesto economico: un 2025 di stagnazione e le speranze per il 2026

La fotografia scattata dalle associazioni di categoria restituisce l’immagine di un anno a due velocità, segnato da una generale frenata.

Per i costruttori di macchine utensili, il 2025 è stato un “anno fiacco”, come lo ha definito in un videomessaggio Riccardo Rosa, presidente di Ucimu – Sistemi per Produrre. Una stabilità “verso il basso” influenzata dalle tensioni geopolitiche internazionali, dai dazi americani e dalla crisi dell’automotive tedesca, storico partner della manifattura italiana. Anche il mercato domestico ha sofferto, complice del ritardo con cui è partito il Piano Transizione 5.0 e di uno scenario poco chiaro.

Nonostante un segno più, anche il comparto delle macchine per il packaging registra un rallentamento. Gian Paolo Crasta, direttore generale di Ucima, prevede una chiusura d’anno con una crescita del 2,2%. Un dato positivo in termini assoluti, ma che rappresenta una “forte frenata” se confrontato con la crescita del 2024 (+9%). A preoccupare è soprattutto la visibilità sugli ordini, passata dagli storici 8-9 mesi a un orizzonte decisamente più breve.

Sulla stessa linea si colloca la meccanica varia rappresentata da Anima Confindustria, che stima un risultato attorno al -1%, specchio di una sostanziale stagnazione.

Un dato confermato anche da Andrea Bianchi, presidente di Anie Automazione, che segnala una previsione di chiusura a -1%, in netto recupero però rispetto al -6% registrato a metà anno. Per il 2026, tuttavia, il sentiment delle imprese appare positivo: quasi il 90% del campione monitorato da Anie si aspetta una crescita, confidando anche nel supporto dei nuovi strumenti fiscali.

Il cortocircuito di Transizione 5.0: tra incertezza dei dati e caccia alle coperture

L’ultima parte del 2025 è stata dominata dalle polemiche provocate dalla chiusura anticipata di Transizione 5.0 e Transizione 4.0 a causa dell’esaurimento delle risorse disponibili. Una chiusura che ha aperto settimane di incertezza per le imprese che hanno già presentato domanda per agevolare gli investimenti svolti.

Ma la stessa incertezza è stata la base stessa del corto circuito, come spiega Marco Calabrò, Capo del Dipartimento per le politiche per le imprese del Mimit.

“Abbiamo operato in una incertezza di fondo in cui i numeri non erano chiari e le stesse associazioni datoriali fino a metà novembre stimavano un assorbimento di risorse oscillante tra un miliardo e i 2 miliardi”, commenta.

L’accelerazione degli investimenti nella seconda parte dell’anno ha portato al rapido raggiungimento del tetto di 2,5 miliardi che si era concordato con l’UE in vista della revisione del PNRR e ha costretto il Ministero a una chiusura repentina e ha spinto le imprese a spingersi sul “paracadute del 4.0”, causando l’esaurimento anche dei 2,2 miliardi previsti per quella misura.

Il vero nodo critico, tuttavia, risiede nella discrepanza tra le risorse prenotate e gli investimenti effettivamente realizzati. Attualmente, sul piano 5.0 insistono ancora prenotazioni per circa 4,8 miliardi di euro, una cifra che eccede ampiamente la dotazione di 2,75 miliardi, ma che si scontra con la realtà operativa dei progetti in cantiere: a sole tre settimane dalla scadenza tassativa del 31 dicembre per il completamento degli investimenti, al Ministero risultano progetti completati per appena 1,2 miliardi. Questo gap evidenzia come molte prenotazioni potrebbero non trasformarsi in spesa effettiva.

La chiarezza definitiva su questo scenario arriverà solo il 28 febbraio, termine ultimo per il completamento degli oneri documentali. Per fine anno, in ogni caso, il Governo avrà le idee più chiare su quanto servirà per soddisfare le domande in coda.

Le imprese che hanno operato correttamente dovrebbero comunque poter dormire sonni tranquilli: qualora il fabbisogno finale dovesse superare l’attuale stanziamento, l’Esecutivo valuterà un ulteriore intervento finanziario per reperire le risorse necessarie a coprire tutte le domande legittime.

Gli scenari per il 2026: pluriennalità e ritorno all’iperammortamento

L’attenzione delle imprese e delle associazioni è ora rivolta a ciò che accadrà nel 2026 con il Ministero delle imprese e del Made in Italy che sta lavorando per garantire alle imprese quella stabilità mancata nell’ultimo anno.

La bozza della Legge di Bilancio prevede il ritorno per il 2026 a un incentivo basato sui meccanismi del super e iperammortamento (di cui vi abbiamo parlato in questo articolo). Ma ci sono diverse novità in cantiere. Il Governo, conferma Calabrò, è disposto a rendere lo strumento pluriennale in modo di dare alle imprese la possibilità di programmare gli investimenti in un quadro di certezza normativa.

Sebbene il Ministero dell’Economia abbia mostrato un’apertura in tal senso, l’allungamento temporale richiederebbe però il reperimento di nuove risorse, mentre Mef e Ragioneria dello Stato richiedono il rispetto dei saldi di bilancio.

Qualora non fosse possibile una piena pluriennalità, il “piano B” ,come lo ha definito Calabrò, prevede quantomeno l’estensione della finestra per la consegna dei beni da giugno a settembre 2027, riconoscendo i tempi tecnici di 8-9 mesi necessari per la produzione e l’installazione dei macchinari complessi.

Un ulteriore obiettivo del Governo è quello di rendere lo strumento operativo da subito.

“Abbiamo l’obiettivo di rendere la misura immediatamente operativa, rinunciando al decreto attuativo interministeriale che richiederebbe tempi piuttosto lunghi; stiamo inoltre già lavorando con il GSE per aprire la piattaforma di prenotazione già ai primi di gennaio”, spiega Calabrò.

Il Ministero sta poi valutando un significativo revamping degli allegati A e B, i cui elenchi risalgono al 2017. Non un semplice restyling, ma un’operazione necessaria per codificare le tecnologie indispensabili oggi per la competitività delle imprese. Su questo punto il Ministero ha lavorato in collaborazione con gli industriali per recepire l’evoluzione tecnologica e riformalizzare gli elenchi, includendo nuove aree come l’AI e la cyber security, ma anche una serie di tecnologie funzionali all’efficientamento energetico.

Altra novità del 2026 è il fatto che la misura sarà finanziata con risorse nazionali e quindi non sarà soggetta ai vincoli DNSH (Do No Significant Harm), che nel Piano Transizione 5.0 2024-2025 hanno penalizzato i settori energivori.

Tuttavia, il ritorno alla deduzione dall’imponibile crea una barriera all’ingresso, poiché esclude i soggetti in perdita, quelli in regime forfettario e le startup innovative che, non generando utili nei primi anni di attività, non possono beneficiare della supervalutazione del costo del bene.

Viene meno infine l’obbligo di legare l’acquisto del bene strumentale al risparmio energetico, che resterà previsto solo come premialità aggiuntiva e non più come conditio sine qua non per l’accesso alla misura.

Su tutto questo avremo conferme a breve: il Governo depositerà in questi giorni un emendamento in Commissione Bilancio al Senato con il quale formalizzerà le proposte di modifica al testo del DDL di Bilancio.

La svolta sulle competenze: addio al credito d’imposta per la formazione

Sul fronte degli incentivi dedicati alla formazione, invece, il Mimit ha deciso di non rinnovare la misura che era inclusa nel piano 5.0 2024-2025 a causa dei risultati deludenti registrati negli ultimi anni.

Il dato citato da Calabrò è impietoso: all’interno del piano Transizione 5.0, la linea dedicata alla formazione ha assorbito meno dell’1% delle risorse disponibili, a dimostrazione di uno strumento che non ha incontrato le reali esigenze delle imprese o che è risultato troppo complesso.

La nuova strategia abbandona la logica del bonus a pioggia per concentrarsi sulla qualità dell’erogazione: le risorse per l’aggiornamento delle competenze saranno indirizzate in via prioritaria verso i Competence Center e la rete del trasferimento tecnologico, soggetti cui la legge di bilancio assicura un finanziamento pluriennale attraverso il fondo per l’innovazione.

Verso gli “EDIH 2.0” e la razionalizzazione dei Competence Center

La mappa dei centri di trasferimento tecnologico, che oggi conta circa 50 soggetti tra Comèpetence Center, Edih e altri poli, dovrà essere razionalizzata, sia a seguito della valutazione di ciascun Competence Center da parte del Mimit sia come conseguenza di una volontà politica europea.

In vista dell’approvazione del decimo Programma Quadro per la Ricerca e l’Innovazione destinato a regolare gli investimenti in ricerca e innovazione per il periodo 2028-2034 (Horizon Europe), la Commissione Europea ha già aperto dei bandi che serviranno a delineare il futuro degli European Digital Innovation Hub, i poli europei di innovazione digitale a cui partecipano anche progetti italiani (MADE è capofila dell’Edih M.I.A Lombardia).

Queste call serviranno a selezionare 10 strutture, tra quelle già esistenti o frutto di una loro aggregazione, che rafforzeranno l’impegno degli attuali Edih di accelerare la trasformazione della ricerca in applicazioni concrete, con particolare focus sull’AI.

Lo scenario europeo: Clean Industrial Deal e la sfida della competitività

Se per l’Italia c’è fiducia in vista di una stabilizzazione delle politiche industriali, le critiche non risparmiano l’azione di Bruxelles, dove si giocano partite decisive per la tenuta del sistema industriale.

Le associazioni chiedono a gran voce che il futuro Clean Industrial Deal non penalizzi la manifattura italiana, che si candida a diventare la nuova locomotiva d’Europa di fronte alle difficoltà tedesche.

“È sempre più evidente che non competiamo ad armi pari sui mercati”, commenta Gian Paolo Crasta di Ucima. “Dobbiamo chiederci cosa fare per aumentare il grado di innovazione del manufatturiero, visto che l’Oriente fa passi da gigante”.

“Se a livello nazionale vediamo un passaggio concreto dalle parole ai fatti, queste certezze in Europa ancora non ci sono”, ha osservato Alessandro Maggioni di Anima, citando l’esempio emblematico della revisione del CBAM per la quale è arrivato l’ennesimo rinvio.

Un clima di incertezza che, di fatto, impedisce alle aziende di programmare con la dovuta serenità.

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